"L'Arcobaleno Spento"

testo di Danilo Reschigna

drammaturgia e regia  Rino Cacciola

produzione Teatro Magico - Casa degli Zotici

suono e luci  Katia Rossini e Giorgio Lepri

durata  90 min.

 

È possibile rappresentare l’animo umano utilizzando il linguaggio del teatro ? 

Come tutti i testi di Danilo Reschigna anche questo, datato 1985, non è facile da presentare. Con il suo stile personalissimo, che rivisita, in un modo del tutto originale, il teatro dell’assurdo del secondo novecento, mette in evidenza ancora una vota la difficoltà degli esseri umani a comunicare tra loro, soprattutto quando entrano in gioco i sentimenti. La grande sfida è affidata al linguaggio del teatro, quella di trasformare le parole del drammaturgo in azione e lasciare che il vero racconto sia affidato all’immagine, la sola in grado di raccontare l’animo dei 4 personaggi che si cercano e si scontrano per mezzo di metaforiche telefonate. 

“Se telefonando io potessi dirti...” 

È questo il messaggio principale: “ti chiedo ma non ascolti, ti cerco ma non ti trovo, ti chiamo ma non rispondi”... metafora dei nostri tempi dove tutto è apparentemente connesso, dove ogni esperienza sembra così facile da condividere, ogni relazione supportata da mezzi di comunicazione sempre più tecnologici ma solo apparentemente esaurienti. Il nostro amato e odiato telefono... diventato un surrogato sociale, mezzo di “non comunicazione” di massa che, a causa della sua ingombrante illusione di relazionarci con l’altro, impedisce una reale esperienza interpersonale. 

E alla fine, più lo utilizziamo, più ci sentiamo soli. 

 

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FOTO

 

Un arcobaleno spento, i cui colori hanno smesso di brillare, è l’immagine che meglio riesce a rappresentare la condizione psicologica dei protagonisti, che, per storie di vita differenti, si trovano  a doversi confrontare con il dramma silenzioso della solitudine ed il difficile compito di creare rapporti umani significativi, dalla cui assenza deriva quel senso di  sfiducia esistenziale che sembra accompagnare l’uomo comune.

Sulla scena, solo una sedia, che, come unica depositaria delle loro private sofferenze e luogo di conforto per le loro paure, verrà occupata, in maniera alternata, dai quattro protagonisti: Grigiopetto, ambizioso direttore d’orchestra, tormentato dalla paura del fallimento e dal desiderio di raggiungere la perfezione; Bianca, vedova sofferente che non riesce ad elaborare il lutto e a lasciarsi alle spalle il rimpianto ed il senso di colpa; Biancoceleste, cuoco e pasticcere, che con il suo ottimismo ingenuo ed esasperato cerca di  nascondere nella professione la paura dei legami e dell’abbandono; ed infine, Nerina, la sposa nevrotica, che non riesce a ricomporre il conflitto sempre vivo con la madre, esprimendo con forza un profondo senso di inadeguatezza e la paura di assumersi delle responsabilità.

Il telefono, grande protagonista invisibile della storia, è il mezzo che permetterà ai protagonisti di uscire dalla loro solitudine e di incontrarsi nello spazio simbolico di una telefonata, che si traduce, così, nella necessità dell’uomo di non essere solo.

 Grigiopetto, Bianca, Nerina e Biancolceleste cominceranno, così, ad interagire fra loro, tentando di dar voce a tutto il loro disagio attraverso la comunicazione ed il contatto con l’altro, in un susseguirsi incalzante di diverbi, confessioni, richieste d’aiuto, accuse reciproche e crisi di pianto.

Ma è proprio in questo terreno comune, in cui ciascun personaggio si illude di poter trovare la salvezza, migliorando la propria condizione, che le speranze si spengono, come i colori dell’arcobaleno e le parole mostrano tutto il loro limite, rivelandosi ben al di sotto della complessità dell’animo umano, che proprio nelle restrizioni espressive del linguaggio rischia di rimaner intrappolato. Le interazioni falliscono, ingannano e tradiscono i desideri dei protagonisti, finendo con l’assomigliare solo ad un continuo fuggire per poi cercarsi di nuovo, come in una danza in cui i corpi non si uniscono per formare armonia. Sembra quasi che i colori dell’arcobaleno non vogliano più tenersi per mano.

I dialoghi fra i protagonisti assumeranno sempre di più i contorni di lunghe ed intime conversazioni interiori, dalle quali emergeranno amare verità che produrranno profondi cambiamenti e dopo le quali ognuno di loro si ritroverà a dover sperimentare una nuova e più lacerante forma di solitudine. Attraverso il confronto con l’altro cadrà la maschera, e le debolezze dell’animo umano torneranno a bussare alla coscienza.

L’Arcobaleno spento si rivela una singolare e sorprendente prova di regia, che al di là di una semplicità solo apparente, si svolge interamente all’interno di uno spazio metafisico ed immateriale, che conferisce un nuovo e suggestivo significato alla fragilità dell’essere umano, nel quale ogni spettatore riesce a vedere riflessa una o più parti del proprio sé.

Ogni elemento del multiplo linguaggio teatrale concorre ad una riuscita complessiva davvero emozionante: l’interpretazione naturale degli attori, le azioni sceniche, le luci, la sobrietà dei costumi, e soprattutto la scelta puntuale ed elegante delle musiche, che sostengono il ritmo della narrazione. Le note di Bach, Mozart, Strauss e le parole di Mina diventano un quinto personaggio dotato di autonomia, che in tante sequenze, prende il posto delle battute degli attori.

Il ritmo crescente della narrazione, quasi vorticoso sul finale, avvolge lo spettatore in una spirale di sentimenti ed emozioni in contrasto fra loro, invitandolo continuamente ad inserirsi nelle complesse contraddizioni dell’essere umano che vengono messe in scena, restituendo, così, allo spettacolo teatrale la sua originaria e forte valenza sociale.

L’Arcobaleno spento è una riflessione esistenziale legata alle condizioni del proprio tempo, nella quale si ritrova, ancora una volta,  la conferma che nell’arte è la soluzione, e nel teatro la verità.

 

Claudia Piccolo

 

 

  Bianca e Biancoceleste

 

  Biancoceleste e Grigiopetto

  Nerina

 
 

A PROPOSITO DI TEATRO

 

Forse hai bisticciato coi tuoi genitori a diciott’anni, perché volevi darti al teatro ed essi erano contrari. Forse ti hanno chiesto perché volevi darti al teatro, e tu non hai potuto fornire una risposta ragionevole, poiché ciò che volevi fare nessuna risposta ragionevole può spiegarlo: volevi volare. Forse avresti fatto meglio a dire “Voglio volare”, anziché pronunciare quelle parole spaventose: “Voglio darmi al teatro”.

Edward Gordon Craig

 

 

Il teatro non è altro che il disperato sforzo di un uomo di dare senso alla vita.

Eduardo De Filippo

 

 

L’effimero che rende il Teatro, Teatro, il “qui e ora” - che un attimo dopo non è già più ciò che era un attimo prima - , la caratteristica più propria, unica, di questa forma d’arte scritta sulla sabbia che è il Teatro, diventa insieme la sua bellezza e la sua condanna.

Anna Ceravolo

 

 

Il teatro è una forma di felicità interrotta dall’esistenza.

Pino Caruso

 

 

Bisogna fare il teatro nell’entroterra del proprio io, questo è il mio consiglio, gridare forte la propria voce dal basso, da uno scantinato, da un vicolo buio… farlo con tutta la forza di cui si è capaci.

Emma Dante

 

 

Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso.

Gigi Proietti

 

 

Il mio scopo non è insegnarvi a recitare, il mio scopo è aiutarvi a creare un uomo vivo da voi stessi.

Kostantin Stanislavskij

 

 

Faccio il mio Teatro perché questa è la bellezza che offro in risposta alla distruzione del mondo. Lo faccio perché devo farlo.

Julian Beck

 

 

- Credevo tu odiassi il teatro.

- Odio anche la vista del sangue, ma l’ho nelle vene.

Charlie Chaplin